La statua di Scilla: una trasformazione crudele e straziante

statua di Scilla

La statua di Scilla con la sua disperazione e il suo doloroso contorcersi ci racconta una storia di amori, gelosie e tragiche vendette.

“La sponda destra è infestata da Scilla, la manca dall’irrequieta
Cariddi: questa inghiotte e rivomita le navi travolte,
quell’altra ha un ventre nero circondato di cani feroci,
ma viso di vergine e, se non sono tutte invenzioni le cose
che ci tramandano i poeti, un giorno fu davvero una fanciulla.”

“Le Metamorfosi”, Ovidio – Libro XIII

Scilla è il nome di una bellissima fanciulla (o ninfa – a seconda delle versioni-) che, come tanti altri personaggi mitologici, ha la sfortuna di incappare nelle persone sbagliate e di finire per colpa loro trasformata in un orripilante mostro.

Scilla è anche un piccolo borgo calabrese che si affaccia sul Mar Tirreno e che prende il suo nome proprio dalla storia della ninfa e, più in particolare dall’omonimo promontorio, -capirai più avanti che cosa c’entra un promontorio in questa storia-.

Promontorio di Scilla
Il promontorio di Scilla.

Ed è proprio qui che troviamo la statua di Scilla, la bella ragazza/mostro, colta nel bel mezzo della trasformazione.

La statua di Scilla nel centro storico della città

La statua di Scilla, anche chiamata statua della sirenetta, si trova nella parte alta del borgo di Scilla, in Piazza san Rocco. Piazza san Rocco offre un favoloso belvedere sullo stretto di Messina, lo stretto che nell’antichità si credeva sorvegliato dai due mostri Scilla e Cariddi. Da qualche anno la statua è stata posizionata sul terminale della tromba dell’ascensore, che collega il quartiere di San Giorgio, il centro storico dove risiede la maggior parte degli scillesi, a quello di Marina Grande con la sua spiaggia e la stazione ferroviaria. Alle spalle della statua è ben visibile il promontorio caratteristico del comune calabrese.

Nel bel mezzo della trasformazione

Lo scultore ha scelto il bronzo per rappresentare Scilla nell’esatto momento della sua metamorfosi in mostro. Le sue gambe si stanno trasformando in lunghe diramazioni, simili a serpenti, che terminano in teste di cane dai denti aguzzi, tutte tranne una che diventa un pinna. Il braccio destro della povera ragazza si allunga verso l’alto e con la mano Scilla si afferra la testa in un gesto di evidente disperazione. Il braccio sinistro è abbandonato lungo il busto, la schiena è inarcata, tutte le linee della scultura mostrano tensione. La sofferenza della ragazza per la punizione inaspettata che sta subendo è lampante.

statua di Scilla

Ma di quale crimine si sarà mai macchiata la giovane per scontare una penitenza così crudele?

La storia di Scilla ne “Le Metamorfosi”

Le -sfortunate- vicessitudini di Scilla ce le racconta Ovidio, celebre poeta latino, nelle sue “Le Metamorfosi”, un poema epico-mitologico composto tra il 2 e l’8 d.C., in cui sono raccolte numerosissime storie incentrate sul fenomeno della metamorfosi.

Secondo Ovidio, Scilla era una favolosa fanciulla dagli occhi azzurri, che una sera, dopo essersi fatta il bagno in mare, assiste all’apparizione di Glauco, un dio marino mezzo uomo e mezzo pesce. Per Glauco è amore a prima vista. Scilla però la pensa diversamente. Le grandi spalle e braccia azzurre del dio, la sua chioma lunga fino alla vita, la barba color verderame e soprattutto i suoi arti inferiori a forma di pesce -ti ricorda qualcuno?- non generano nella fanciulla quel sex appeal, che Glauco vorrebbe -e come darle torto povera ragazza?-.

Glauco e Scilla
Glauco e Scilla. Dipinto di Bartholomeus Spranger

Nonostante le lusinghe, le promesse, le suppliche -un’insistenza degna del più abile degli stalker-, Scilla non degna Glauco di uno sguardo e se ne va indifferente. Il dio, arrabbiato e offeso, partorisce la geniale idea di rivolgersi alla dea-maga Circe, figlia del Sole, famosa per i suoi incantesimi e sortilegi. Le chiede di escogitare un modo per far cadere la ragazza fra le sue braccia:

“Non ti chiedo di curare e sanare la ferita mia: non voglio
che tu me ne liberi, ma che Scilla bruci dello stesso fuoco.”

“Le Metamorfosi”, Ovidio – Libro XIII

Quello che Glauco non aveva considerato -oltre al triangolo- è che Circe, preda di facili infatuazioni, è innamorata di lui e invece che vendicarsi sul dio per l’amore non corrisposto, se la prende con Scilla. Circe sa che la fanciulla è solita fare il bagno in una caletta presso Zancle -che sarebbe l’odierna Messina- e, con l’intenzione di avvelenare l’acqua in cui Scilla ama immergersi, si mette a preparare la sua pozione: trita erbe maligne dai succhi spaventosi, mentre pronuncia formule infernali. Spreme i liquidi delle erbe nell’acqua marina, “mormorando, nove volte per tre, una cantilena incantata, groviglio oscuro di misteriose parole”.

“Scilla arriva e non appena s’immerge con metà del corpo in acqua,
vede i suoi fianchi deformarsi in orribili mostri
ringhianti
. Non potendo credere che quei cani appartengano
al suo corpo, tenta terrorizzata di schivarne e di respingerne
le fauci furiose. Ma anche quando fugge li trascina con sé
e quando cerca nel suo corpo cosce, stinchi e piedi,
al loro posto altro non trova che musi di Cerbero. “

Trasformazione di Scilla
La trasformazione di Scilla – Olio su tela di Peter Paul Rubens

Sconvolta e terrorizzata dal suo stesso corpo, la fanciulla trova riparo in una grotta lungo la scogliera del promontorio, dove vivrà il resto dei suoi giorni sfamandosi tramite le sue teste di cane di pesci e delfini malcapitati. La rabbia che prova per la sua sorte infame la spingerà però anche a nutrirsi di umani. I marinai che sulle loro imbarcazioni attraversano lo stretto di Messina devono vedersela infatti con due mostri: dal lato calabrese c’è Scilla che preleva gli uomini direttamente -e comodamente- dalle navi con le sue diramazioni canine; dal lato siciliano, troviamo Cariddi, un’altra ninfa trasformata in mostro, che con la sua gigantesca bocca risucchia l’acqua del mare e la rigetta fino a tre volte al giorno, mangiandosi naturalmente tutto ciò che trova all’interno -un po’ come una balena con il plancton-.

Ulisse vs Scilla

Ulisse, dopo aver trascorso un anno presso la sua amante Circe e dopo aver superato il pericolo delle Sirene, si troverà a dover scegliere a quale mostro avvicinarsi di più per attraversare lo stretto. Sceglierà Scilla, prevedendo di perdere qualche compagno anziché vedersela con Cariddi, che probabilmente gli avrebbe risucchiato l’intera nave. Scilla non perderà occasione di vendicarsi di Circe divorando i compagni del suo amato.

Francesco Triglia e Giovanni Capua: realizzatore e finanziatore della statua di Scilla

L’artefice della statua di Scilla è lo scultore reggino Francesco Triglia, che si dedica spesso a rappresentare creature mitiche, divinità ed eroi epici. Nelle sue opere è spesso possibile osservare delle crepe, dei raggrumi della materia, come se la scultura fosse stata erosa dal tempo. Questa caratteristica è ben osservabile anche in Scilla.

statua di Scilla

Il telo della scultura è stato alzato il 26 luglio 2013. La statua è stata donata alla città dalla famiglia di Giovanni Capua, un imprenditore reggino scomparso prematuramente, molto affezionato al borgo di Scilla. Inizialmente la statua era stata collocata sulla rosa dei venti che decora il pavimento di Piazza San Rocco. In seguito, dopo la realizzazione dell’ascensore, la scultura ha trovato il suo piedistallo proprio sulla tromba di questo.

La statua di Scilla tra curiosità e fonti

Omero, Virgilio e Ovidio

Scilla viene descritta in tre grandi poemi epici, che in ordine di comparsa sono:

  • “Odissea” di Omero (VI secolo a.C.)
  • “Eneide” di Virgilio (29 a.C.-19 a.C.)
  • “Le Metamorfosi” di Ovidio ( 2-8 d.C.)

Ovidio, come già sappiamo, descrive Scilla semplicemente con un ventre nero circondato da cani feroci. Omero è un po’ più preciso nella descrizione: la sua Scilla, come quella di Ovidio, è fanciulla dalla vita in su e mostro nella parte inferiore. La parte mostruosa è dotata di 6 colli lunghissimi, su ciascuno di essa vi è una spaventosa testa di cane e due zampe. Ogni testa presenta tre file di denti aguzzi. Inoltre Scilla emette delle grida moleste, simili a guaiti di cuccioli di cani. Virgilio mantiene l’aspetto delineato da Omero, aggiungendo però alla sua descrizione qualche elemento che riconduce Scilla a una pistrice, un altro leggendario mostro marino dotato di una coda di delfino.

“Dal mezzo in su la faccia, il collo e ’l petto
Ha di donna e di vergine; il restante,
D’una pistrice immane, che simíli
A’ delfini ha le code, ai lupi il ventre.”

“Eneide”, Virgilio – Libro III

Etimologia di Scilla

Il nome di Scilla deriverebbe dal termine greco skylla che vuol dire “strappare”, “dilaniare”, che è proprio l’azione che il mostro compie per sfamarsi, o da skylax “cucciolo”, in riferimento ai guaiti emessi dalle teste di cane.

Il promontorio

Ricordi che all’inizio dell’articolo ti avevo parlato di un promontorio? Ora ti spiego perché te l’ho nominato tante volte. Ovidio negli ultimi versi dedicati a Scilla rivela che il mostro in futuro diventerà inerme perché trasformato in promontorio, proprio quello che caratterizza il borgo di Scilla.

Un’altra statua

Di fronte alla statua c’è un’altra caratteristica rappresentazione di Scilla, una fontana.

statua di Scilla

Black Water – Of Monster and Men

Per la nostra povera amica Scilla ho scelto questa canzone di un gruppo che si chiama niente di meno che “Of Monsters and Men” (Di uomini e mostri).

“Ingoiata da un mare pericoloso e vendicativo
giorni più bui mi stanno piovendo addosso
mi sono persa in profondità
vedo me stessa attraverso qualcun altro”

Non sembrano le esatte parole che Scilla avrebbe potuto dire o pensare?

Spero che l’articolo ti si piaciuto e che la storia di Scilla che ti ho raccontato ti abbia fatto capire che un mostro a volte non è tale per una sua scelta personale e consapevole, ma perché qualcun altro lo ha reso tale. L’invito è quello di non fermarsi alle apparenze, ma indagare sempre fino al nocciolo.

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